Giorno 23: Avvicinamento a Capri - Inizia la notte spettacolare…

Inserito in: mchisari@Lun, 12/06/2006 - 23:23 — modificato Lun, 12/06/2006 - 23:51

Giorno 23: Avvicinamento a Capri

Verso le 6 del mattino mi sveglio tremante di freddo. Eppure sono già copertissimo, non c’è nulla che possa fare di più per alleviare il freddo; mi alzo e vado a cercare al buio qualcosa da mangiare per carburare, cercando di non fare rumori svegliando gli altri – preoccupazione inutile, la barca è già tutta un rumore. Ho dormito malissimo, sono cotto dal sole di oggi e dalla stanchezza di ore al timone, ho freddo e la barca continua a oscillare, le previsioni meteo non sono buone e non sappiamo se il forte vento aumenterà ancora facendo crescere anche il mare. E siamo si e no ad un quarto del viaggio. Mi coglie la depressione. Avevo tanto desiderato una regata d’altura e sono già distrutto. Ma chi me l’ha fatto fare? Non avrò sbagliato sport? Sono seriamente in dubbio se continuare. In questo momento mi rendo conto dell’importanza della cosa che sto facendo: ormai non posso più dire “scusate tanto, mi sono sbagliato, questa regata è fatta per gente molto più resistente di me”: ci sono dentro con tutto me stesso, e so che, comunque vada, questa è un’esperienza che mi lascerà qualcosa. Per fortuna la crisi di freddo passa, e mi rimetto a dormire. Un’ora più tardi, un buon tè caldo mi rimette provvisoriamente in sesto, ma la mancanza di sonno si sente. Fa freddo, ma per fortuna c’è il sole, e con Franco ci godiamo la tranquilla sagoma delle isole di Ventotene a destra e di Ischia a sinistra; Ludovico, mio compagno di turno, dorme beatamente. Passiamo accanto all’isola di S. Stefano, saranno circa le 10 del mattino, e vediamo un’altra barca in regata; ci passiamo vicini, poi però noi, costretti dalla mancanza dell’MPS (ottima scusa…) a tenere una rotta abbastanza orzata, ci allontaniamo. Evidentemente gli altri sono molto più sottocosta. Finalmente, parecchie ore dopo, viriamo, per la prima volta da ieri, in direzione di Capri. Il vento dapprima sembra calare verso i 15/17 nodi, poi ricomincia ad aumentare mentre gira più a sud, e cominciano ad apparire strati nuvolosi; è il primo segno di una nuova perturbazione in arrivo. Man mano che ci avviciniamo a Capri il vento sale, e così il mare. Mentre ci avviciniamo alla boa che segna la metà del nostro viaggio, altre tre barche concorrenti si avvicinano; è incredibile, nelle regate d’altura, come si possano passare giorni in mezzo al mare apparentemente da soli, ognuno impegnato chissà dove ad inseguire il vento per conto suo cercando di interpretarlo meglio degli altri, per poi trovarsi in prossimità della boa a pochi metri di distanza…

La vicinanza della boa rinnova le nostre energie: stanchi, ma siamo arrivati a metà del viaggio… Passiamo la boa di Capri il giorno 23 alle 16:31; abbiamo percorso 140 miglia in 27 ore, con una media di 5,2 nodi, buona per la nostra barca, considerando anche la rottura dell’MPS. Siamo penultimi, e nel frattempo dieci imbarcazioni si sono ritirate, mentre un’altra lo farà durante il ritorno. Solo Cristobal sembra non avere nessun tentennamento.

Alla virata davanti al faro di Capri si dimostra tutta la nostra mancanza di allenamento: con un vento oltre i 25 nodi e mare formato, stavolta dobbiamo risalire di bolina, e decidiamo di issare una trinchetta e ridurre la randa. La manovra però riesce alquanto penosa: prima si incattivisce la randa sul rollaranda, per cui occorre rialzarla e poi ridurla nuovamente; poi, issando la trinchetta, ci accorgiamo di aver dimenticato un elastico, e con la barca che sbatte di prua Michele deve precipitarsi a slegarla; infine, cazzando la scotta, è incastrata su una copiglia delle sartie, e deve di nuovo intervenire Michele. Intanto dal comitato di Regata ci ripetono per radio che hanno registrato il passaggio, e possiamo invertire la rotta: hanno paura che sbagliamo strada…

Cominciamo così faticosamente la risalita di bolina. La visibilità è scesa, e c’è un denso strato di nuvole su di noi. La barca è sicura ma lenta, poco oltre i 5 nodi, ed il mare continua a crescere. Dopo l’esaltazione di aver girato la boa, e neanche ultimi come credevamo, mi infilo nel sacco a pelo piuttosto sfiduciato, con la paura di un fortunale in arrivo, che obblighi ad abbandonare, o quantomeno ci blocchi per molto tempo in un ridosso, e mi domando se non abbiamo preteso troppo ad arrivare fin lì. Le “brande calde” (perché c’è sempre qualcuno che dorme…) sottovento sono entrambe occupate; ammucchio via tutte le cerate, i giacconi e l’altro materiale da una cuccetta sopravvento e mi ci tuffo sopra; però il cuscino scivola sulla tavola sottostante; così lo tolgo e dormo direttamente sulla tavola. Nonostante tutto sono talmente stanco che mi addormento quasi sul colpo; per lo meno in questa regata imparerò a dormire come un vero duro…

Giorno 23, ore 19,30: Inizia la notte spettacolare…

Durante la mia prima notte quasi insonne ho imparato a riconoscere tutti i rumori sottocoperta. C’è lo sbattere delle vele; c’è un fruscio del passaggio dell’acqua sullo scafo; ci sono gli scricchiolii dello scavo sotto raffica; c’è lo sbattere dello scafo sull’ondata più alta delle altre; c’è poi un rumore come di una bottiglia che viene riempita e svuotata continuamente, che attribuisco ai tubi delle prese a mare; ed infine c’è come il rumore di un ruscello, la turbolenza dell’acqua che scorre intorno a qualche struttura. È proprio questo rumore che mi colpisce al risveglio; è particolarmente forte, segno che stiamo correndo… Si balla, ma non siamo molto sbandati. Mi affaccio al pozzetto. È il tramonto, e l’ultima luce del giorno illumina le facce dei miei compagni di viaggio concentrate come quelle di piloti di formula uno… Anche il comandante è curioso: “Quanto facciamo?” “Circa 8,5 nodi. È così da più di un’ora”. Incredibile: dopo che sono andato a dormire, il vento è calato tanto che quasi non ci si muoveva più; hanno ridato molta randa e genoa, lasciando anche la trinchetta, passando ad un inusitato armo a cutter; il vento ha girato al traverso e poi rinfrescato fino a 20/25 nodi… La situazione è esaltante, adrenalinica, e tutti ci adeguiamo. Scherzo “Con questo mare, mi sa che questa sera niente spaghetti…”; Ludovico, per tutta risposta, mette una pentola sul fuoco e ci prepara un risotto (precotto) ai carciofi; nonostante lo sbandamento e soprattutto i salti sull’onda, la pentola rimane saldamente sul fornello, quasi partecipe anche lei della sfida. Ma col mare che c’è è decisamente un azzardo; c’è chi ha seri problemi con lo stomaco e chi teme di averne… a parte il comandante, che ci dà uno schiaffo morale facendo il bis ed innaffiandolo per giunta con un paio di bicchieri di Morellino di Scansano. La nostra seconda notte in navigazione comincia comunque sotto i migliori auspici.

Com’è la vita in una barca a vela, sbandata per il vento, e per giunta sbattuta dalle onde? Quella che in porto sembra una solida e pesante signora del mare, in navigazione diventa simile ad un turacciolo in balia delle onde. Sottocoperta ogni riferimento è perso; si cammina puntellandosi ed aggrappandosi ad ogni passo, ingombranti esseri obliqui rispetto al resto del mondo, solidali solo con gli altri oggetti liberi, che animati da una forza misteriosa tendono a rotolare, a cadere, a saltellare fino a raggiungere tutti un angolo dove il caos tocca il suo culmine. Anche le paratie, però, a tratti sembrano animate da forze misteriose e ti vengono addosso, se non sei veloce a schivarle. L’interno di una barca è stretto, ma quando è sbandata anche cose apparentemente banali come rimanere in piedi, andare al bagno o centrare il tambucio salendo la scaletta, magari mentre si tiene in mano un piatto di pasta, sembrano diventare sfide per contorsionisti o equilibristi; si rimpiange di non essere mostri a tre braccia... Eppure barca sbandata vuol dire vento, e vento vuol dire velocità; così ci adattiamo di buon grado a questo continuo esercizio di cambiamento di coordinate, aggirando astutamente il problema del mal di mare in agguato con la cena in pozzetto, dove però la pasta si raffredda in pochi secondi per via del vento. Da ricordare, comunque: mai risotto col mare grosso.

Dopo cena mi metto al timone. Ischia ora è alla nostra destra, e la sua alta sagoma è punteggiata da decine di puntini luminosi bianchi e arancione, vividissimi, che la rendono simile ad un presepio… anzi, ad un immenso, torreggiante, incomprensibile mercantile, con centinaia di ponti… C’è un vento caldo, che non dispiace affatto. Ma, visto che rinforza sempre più, decidiamo di ridurre nuovamente randa e genoa. Decisione quanto mai opportuna: aumenta ulteriormente fino a superare i 30 nodi, e la velocità è ancora oltre gli 8 nodi.

Si fa buio. La barca cavalca le onde furiose come un cavallo al galoppo, mentre in cielo le nuvole si muovono veloci verso est, macchie scure su un cielo insolentemente stellato in una notte così. Davanti a noi sta passando un fronte occluso, ma non sappiamo ancora che quella linea ornata sulla cartina meteo la incontreremo viva e reale davanti a noi … Tutt’intorno, in lontananza, vediamo parecchi scoppi di lampi, che ci rammentano le nevicate e grandinate che gli amici ci hanno comunicato dalla terraferma. Ma quando passiamo noi, sembra che il vento ci abbia preceduto spazzandoci davanti il cammino; per tutto il viaggio, in effetti, non prenderemo neanche una goccia di pioggia. Ischia si allontana lentamente dietro di noi; nel buio alla nostra sinistra iniziano a spuntare le luci di Ventotene, mentre alla nostra destra la costa è sormontata, fin dove arriva l’occhio, da una enorme massa nuvolosa nera, che si perde davanti a noi… Nelle zone scoperte di cielo vediamo qualche stella cadente, ad aumentare la magia della notte (ne abbiamo viste moltissime per tutto il viaggio). Mentre il vento rinforza gradualmente e gira nuovamente al lasco, lo spettacolo che mi si presenta è tale che penso mi rimarrà impresso per tutta la vita: vediamo ingrossarsi ed ispessirsi alla nostra destra la massa nuvolosa, fino a quando si forma una sottile e lunga striscia luminosissima, in cui la luce dei centri urbani si riflette sulla base del cumulonembo; le masse scure del mare e delle nuvole sembrano voler schiacciare da un momento all’altro nella loro morsa quella sottile striscia che per noi rappresenta la civiltà umana… Sarebbe stupendo poter fissare quello spettacolo terribile con una fotografia, ma in effetti nessuna foto sarebbe minimamente in grado di restituire una simile vista.

Ormai è mezzanotte passata, e mentre stiamo sempre cercando di capire cosa ci sta succedendo attorno, all’improvviso una raffica d’aria fredda e, di colpo, il vento gagliardo che ci aveva accompagnato per un giorno e mezzo finisce di colpo! La scena è stupefacente: il salto di vento è talmente rapido che tutti a bordo si svegliano e corrono in pozzetto per capire cosa sia successo. Il mare adesso è, sebbene non pericoloso per Cristobal, molto seccante perché incrociato, e non c’è modo di prenderlo in modo meno fastidioso. Due o tre volte vediamo emergere come dal nulla una piramide d’acqua molto più alta della murata e sollevare la barca sbatacchiandola come un fuscello. Cerchiamo in ogni modo di uscire dalla bonaccia, ma senza nemmeno una bava di vento non possiamo nemmeno mantenere la prua, ed ovviamente non possiamo avvalerci del motore… Sulla nostra testa, intanto, titaniche masse nuvolose si scontrano, si aprono e si disfano (segno che lassù il vento c’è eccome!); poi il cielo torna stellato… Rimaniamo più di un’ora in questa situazione deprimente, mentre sulla nostra testa continuano a rimescolarsi rade masse nuvolose e si ricomincia ad insinuare la paura di rimanere bloccati lì, in quel mare infido, tanto da costringerci al ritiro. Lascio il timone a Ludovico, per il resto dell’agitata notte senza vento…